La storia di Valeria e Peppe l’abbiamo già raccontata ma stavolta vogliamo entrarci dentro a contatto con la concretezza di vita, fatica e passione che ad un tratto si fa mito. 

In un tardo pomeriggio di questa torrida estate, ci troviamo a Pietrarossa vicino Raffadali (AG), sede delle stalle dell’azienda agricola Casusko. Ci accolgono insieme a Valeria e Peppe, i due figli Remì e Vinicio. Ci viene incontro Blues il cucciolotto bianco e nero che fa la spola tra le stalle e la casa alle nostre spalle. Da lì, arrivano le note di Niccolò, il figlio grande, che prova col suo inseparabile sax. In un’atmosfera familiare e magica come l’esperienza che ci apprestiamo a vivere insieme ad un gruppo di visitatori.

Peppe, nell’aprire la visita, ci racconta cosa voglia dire oggi, “Anno Domini 2019”, essere “caprai e casari”, così si definiscono. Termini antichi, lontani dalle nostre strade e dalle nostre abitudini, ma che sollecitano la nostra immaginazione. È un attimo ritrovarsi a immaginare i nostri nonni e i nostri genitori fare colazione con il latte distribuito, in giro per le stradine sterrate dei borghi, dal capraro che poco prima ha munto con cura e dedizione, una ad una, le sue caprette.

Immagini che si vanno perdendo nel veloce cambiamento di usi e costumi che, nell’illusione di progredire, ci ha convinti ad abbandonare valori fondamentali che facciamo ancora in tempo a riprenderci, forse. 

Illuminati dalle luci del tramonto che giocano con le ombre e tutte le tinte del rosso, visitiamo le stalle ordinate, pulite e popolate dalle attente caprette con le corna “’nturciuniate”. Alcune ci guardano, altre ci ignorano, ma tutte gradiscono la pettinatura. Valeria e Peppe, infatti, ci forniscono dei pettini idonei e ci mostrano come liberare la lana delle capre dalle fastidiose erbacce secche che in questo periodo si incontrano nei pascoli. Nel procedere con questo rilassantissimo ritmo, comprendiamo il senso della ben nota espressione “questioni di lana caprina”. La lana delle capre – che a differenza delle pecore non vengono tosate – tende a formare dei dreads che spariscono sotto i colpi delicati e decisi del pettine. 

E mentre pettiniamo Valeria e Peppe ci raccontano delle loro giornate i cui ritmi sono scanditi dalla natura: cadenze che hanno deciso di rispettare senza alterarle o forzarle in nome del profitto a tutti i costi. “U rispettu è misuratu: cu lu porta l’avi purtatu”, così si dice da queste parti ed in effetti loro vengono ricompensati con la bontà e la genuinità dei frutti del loro lavoro che la natura apprezza e riconosce. 

Dopo un’accurata e puntuale visita di tutti i reparti con relativa descrizione, risaliamo verso la casa, ci lasciano sotto la pergola con un promettente “Arriviamo!” e nell’attesa, iniziamo a scambiare considerazioni, condividere sensazioni. In ognuno dei partecipanti si è messa in moto la macchina dei ricordi: scene vissute o racconti raccolti dai nonni, su come si stesse in campagna, su come si trascorressero le giornate. Racconti che partivano con l’immancabile “Ah, ai miei tempi non era come ora…” e si restava incantati per ore ad ascoltare e a dare forme e colori a quelle parole. 

Ed eccoli che arrivano, tutti e cinque in fila e con le mani piene, in men che non si dica, la tavola si riempie di cose bellissime e – lo scopriremo subito – buonissime. Bruschettine con robiola fresca “partite da queste che hanno il gusto più delicato” ci suggeriscono, frittata di zucchine e robiola, peperonata, parmigiana “come la faccio io”, ci avvisa Valeria “con melanzana grigliata, anziché fritta e cubetti di pomodoro fresco, invece della passata e ovviamente (ride) formaggio di capra a fette”, tagliere con primosale di capra “tumazzu”, caciottina al nero d’avola e caciottina coi semi di finocchio, caprileggio e fiocco di neve, panelle calde, salamella stagionata, cotolettine di melanzane e zucchine, olive verdi, peperoncini ripieni sott’olio, pane quello serio e vino bianco locale. Le papille sono in visibilio, ma l’occhio cade su una cosa curiosa: un cestino verde ripieno di una crema invitante.

“Vale cos’è quello?” chiede qualcuno e lei sorride soddisfatta e dichiara “Quella è la novità dell’estate, è un battagliuni (per i non autoctoni: una specie di cocomero…altrimenti noto come acculazzatu) ripieno di una crema di robiola, menta, polpa scavata del battagliuni, uno spicchietto d’aglio, sale e pepe”. Una delizia assoluta che ricorda vagamente, ma che supera abbondantemente, la tzatziki greca. 

Ricapitolando: pergola, tavola piena di delizie, persone allegre, curiose e sorridenti, e di capra in capra arriviamo in alto, fino all’Olimpo, fino alla capra che ha allattato Zeus, la ninfa Amaltea e riscendiamo sulla terra, ai simboli religiosi che ad un certo punto hanno messo sull’altare l’agnello remissivo, in luogo della capra ribelle, indipendente, autonoma. 

Così ci siamo lasciati: soddisfatti e con tante domande a cui dare una risposta, ma questo ognuno lo farà per conto suo. Valeria e Peppe hanno fatto la loro parte, ci hanno dimostrato che è possibile dare forma ai propri sogni, ma solo con determinazione, ostinazione e costanza, ché niente è regalato. Tutto si conquista con fatica, anzi tutto è “scuttatu”, come di dice da queste parti.