Panormos, Panormus, Balarm, Balermus dai Greci ai Romani e dagli Arabi ai Normanni Palermo è da sempre la città “tutto porto”. Approdo sicuro, calorosa accoglienza. A Palermo c’è posto per tutti.
Città dai mille profumi, colori, sapori. Se la Sicilia è terra di contraddizioni, Palermo ne è la capitale naturale. Qua convivono gomito a gomito, naso a naso, l’alfa e l’omega, il bello e il brutto, il dolce e il salato, il buono e il cattivo, il nero e il bianco, il tanto e il poco, e non sei mai sicuro del fatto che la “e” che unisce questi contrari sia una congiunzione o un verbo, magari si tratta di sinonimi. Grandi contraddizioni per forti emozioni.
Arrivi in stazione e, uscendo su Piazza Giulio Cesare, la vedi subito la sua confusione, il suo movimento, ma ti senti comunque in pace, sorridi e hai voglia di entrarci in quella confusione. Davanti a te Via Roma, poco più a sinistra via Maqueda. Scegli la seconda e all’incrocio con via Torino, alla tua sinistra, la porta di Ballarò. Ed è subito tripudio di voci, musica, fumo di griglie, vapore di pentoloni. La varia umanità che si incontra al di là e al di qua di un banchetto di frutta e verdura, di un bancone su cui sono adagiati quarti bue, prosciutti di maiale, carré di agnello e poi tutta una festa di frattaglie cotte e crude. Cotte si, perché a Ballarò già di buon mattino si accendono le fiamme sotto grandi pentoloni pieni di acqua e si da il via alla cottura di mussi, trippe, cotiche e frattaglie: “a quarume”. La puoi degustare in loco o portartela a casa. Lo stesso accade per polpi, patate, cipolle e tutto ciò che l’estro e la stagionalità considera possibile.
“Alessia mangia che sei fatta magra” è l’invito allegro e premuroso di un rosticcere che, forchettone alla mano, gira e rigira stigghiole e salsicce. Poco più avanti c’è chi taglia e condisce polpi appena bolliti e si offre volentieri agli sguardi stupiti e divertiti dei turisti – che non perdono l’occasione di uno scatto irripetibile – e a quelli più avvezzi degli autoctoni, che si fermano a fare la spesa per la giornata.
Attraversando il dedalo di viuzze che da Ballarò sale verso Via Vittorio Emanuele, ci si può fermare da Moltivolti, miracolo di interazione. Già non di integrazione, ma di interazione, la “g” non serve, perché a Moltivolti ha vinto lo scambio, il valore delle diversità, la meraviglia dei colori, perché “La mia terra è dove poggio i miei piedi”. Salendo da via Giuseppe Mario Puglia e proseguendo per vicolo Panormita, ci si ritroverà dritti dritti in Piazza Bologni: una bellezza che fa fatica a stare dentro quella piazza. Da un po’ di tempo accoglie installazioni di artisti di fama mondiale o emergenti, l’abbiamo già detto: a Palermo c’è posto per tutti. Piazza Bologni si affaccia su Via Vittorio Emanuele ed essendo ora di pranzo, non si può che scendere a destra, concedersi un salto alla Chiesa di San Giuseppe dei Teatini che abbraccia uno dei Quattro Canti. Di fronte – all’altro Canto – c’è Bisso Bistrot: sedetevi e ordinate qualunque cosa, tanto è tutto buonissimo!
Con ancora in bocca il gusto del dolce e del caffè, scendendo fino all’incrocio con Via Roma e girando a destra, si scoprirà Piazza San Domenico che prende il nome dalla Chiesa che la riempie e che offre l’ingresso all’altro famoso mercato di Palermo: ‘a Vucciria, il mercato della carne, che a quell’ora si prepara ad accogliere gli avventori delle piccole vinerie, che si concederanno un bicchiere di vino prima di rientrare a casa o di raggiungere un trattoria o un ristorantino per la cena.
Questo è il racconto ingrato di una giornata normale che può diventare speciale in una città unica, inafferrabile, talvolta incomprensibile e – forse proprio per questo – immensamente affascinante.