La Via Piersanti Mattarella è un lungo rettilineo assolato. Da una parte e dall’altra villette, forse qualche b&b. Arrivati al civico 199, quel vialone di normalità viene invaso da un’energia eccezionale. Il Timbuktu Hostel è una lieta sorpresa, forse una piccola speranza.

I luoghi comuni, spesso, possono condannare un posto ad immagine sempre uguale a se stessa, rassicurante forse, ma sempre meno attraente. A San Vito Lo Capo forse è accaduto anche questo. La città si è fatta brand, codificata secondo le esigenze del mercato.

Per questo la scelta di aprire un ostello ha dei tratti rivoluzionari, specie se non si tratta di semplicemente una struttura ma di uno spazio immaginato e sognato, quindi realizzato. “Amo la mia terra e l’ostello l’ho pensato perché chi arriva da lontano se ne possa innamorare – ci dice Marco Peralta che tre anni fa ha aperto il Timbuktu Hostel – ho la sensazione che più gente si innamora della Sicilia, più diventa bella”.

Un giardino coltivato con aromi e essenze, una veranda su cui si affacciano la cucina e la sala comune, un terrazzo dove fare yoga o rilassarsi. Ambienti familiari, quando famiglia significa mondo. Al Timbuktu Hostel  si respira aria di casa, una casa grande come la terra.

“Ho scelto di chiamarlo come la città straordinaria che è stata meta non programmata del viaggio più importante della mia vita”, ci racconta Marco. Ed in effetti il nome è proprio azzeccato.

Timbuktu è la leggendaria città del Mali, fondata intorno all’anno 1000 da donna Tuareg, Buktou, che cercava una fonte d’acqua per abbeverare i suoi cammelli e li trovò il pozzo (Tim). Una città che aveva sviluppato una cultura grandiosa, fondata sull’accoglienza e sulla integrazione multiculturale. “La Sicilia ha un’anima africana” sintetizza Marco. E l’Africa si sente al Timbuktu Hostel.

Non sono le foto di volti di donne e bambine nella sala comune, qualche complemento di arredo o i piedi nudi di Marco, ma è nello stile dell’accoglienza, negli sguardi, nei sorrisi. Un’Africa molto siciliana. E molto internazionale.

Non solo per gli ospiti ma anche per lo staff. Gabriela è argentina, con attenzione cerca di prendersi cura di tutti: basta un’occhiata o un breve scambio di parole. Un ostello è uno spazio di libertà, ma al Timbuktu Hostel la sensazione che la libertà sia coccolata, condivisa.

È uno spazio pensato per i viaggiatori semplicemente perchè è stato immaginato da un viaggiatore. “Non vedo l’ora di ripartire per uno dei miei viaggi” ci dice Marco: non è la stanchezza dell’albergatore a fine stagione, ma è la voglia di chi ha incontrato il mondo a casa propria e vuole ricambiare la visita.

Camilla è una ragazza cresciuta negli Stati Uniti, madre lombarda e padre francese, era di passaggio al Timbuktu Hostel a maggio e ci è rimasta per tutta la stagione. “Avevo finito la mia vacanza e ho chiesto a Marco se potevo rimanere dando una mano allo staff. Ed eccomi qua”. Il mondo, specie a vent’anni, è gioia dell’incontro: fermarsi in un luogo dove passa il mondo è un’occasione da non perdere.

Non si contano le provenienze degli ospiti, ma non sono solo ragazze e ragazze con lo zaino e i sandali. “Abbiamo avuto famiglie, gente di tutte le età disponibili a sperimentare un’ospitalità caratterizzata dalla condivisione” ci spiega Marco.

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La camera tipo ha, infatti, tre letti a castello e un bagno in comune, quindi anche andare in stanza diventa un’esperienza “multiculturale”. Molte sono poi le occasioni di convivialità che si organizzano in ostello. “Cerchiamo di ospitare piccoli eventi, semplici da organizzare ma che possano lanciare dei messaggi e animare le serate in veranda, spesso coinvolgiamo gli ospiti – continua Marco – cosi quando agosto ho capito che Rami era un maestro di Tai Chi Chuan, abbiamo subito organizzato una lezione”. E poi musica, racconti di viaggio, laboratori di teatro e di cucina.  

In tempi grigi, il Timbuktu Hostel rappresenta una macchia di colori, un assaggio di un mondo possibile. Uno spazio che ha messo al bando la banalità e prova a sperimentare l’incontro e l’accoglienza.

Andandocene via sono abbracci e baci, auguri e saluti. E pensare che siamo stati lì solo per una notte.